Biografia di Gustavo Foppiani


Gustavo Foppiani nacque a Udine, il 12 luglio 1925, da padre piacentino e da madre cremonese. Il rientro a Piacenza avvenne solamente nel 1930, quando il piccolo Gustavo aveva cinque anni. Poche sono le notizie sulla sua infanzia: frequentò la scuola dell’obbligo e già da ragazzo mostrava una naturale propensione verso il disegno, tecnica che praticava con grande passione, ma mai si sarebbe immaginato di farne, un giorno, la sua professione. Il suo percorso non era ancora stato segnato dall’arte, tanto che, spinto dal suo temperamento già ribelle e stravagante, decise di arruolarsi nel 1942, appena diciassettenne, e da una nota biografica sappiamo che l’anno seguente era in Sicilia, a Palermo, a prestare servizio militare. Proprio nel ’43 il giovane piacentino venne catturato dagli americani e spedito in un campo di prigionia in Africa settentrionale, prima a Biserta e poi a Orano. Qui ebbe come compagni di tenda diversi pittori e scultori, come lui fatti prigionieri, che contribuirono non poco ad alimentare la sua passione per l’arte, giacché in una pagina del suo diario leggiamo: “Questo è il momento più felice della mia vita: il colore ed io siamo una cosa sola. Sono pittore!”. L’incontro con l’Africa non poteva essere più felice: nacquero i primi lavori, paesaggi dei dintorni di Biserta e Orano in cui il promettente artista scoprì il vero senso del colore, venduti ai soldati americani come dei veri e propri souvenirs da spedire in patria ai loro familiari. A partire dall’esperienza africana, l’attività pittorica di Foppiani si intensificò per diventare, col passare degli anni, la sua ragione di vita. Nel frattempo, la vicenda militare di Gustavo proseguì al seguito della VII Armata con cui giunse prima a Marsiglia e, in seguito, in Germania, a Mannheim. Fu in Francia che scoprì per la prima volta i numeri dell’<<Illustration>>, dove le riproduzioni dei dipinti assumevano una patina particolare per la consunzione della carta ed erano alterate da macchie e da strappi, dovuti alla scarsa qualità del supporto. L’immediatezza di queste immagini gli consentì di inaugurare un nuovo stadio del suo linguaggio: ritornando alla pratica del disegno Foppiani si mise a realizzare delle stravaganti caricature, mai offensive, dei suoi compagni di viaggio, i quali ricordavano con stima ed affetto le bonarie deformazioni a cui i loro volti erano sottoposti, di volta in volta, nei divertenti fogli licenziati dal giovane artista. 

Nel 1945 il tanto atteso rientro a Piacenza, dove la sue aspirazioni di diventare pittore professionista iniziarono ad essere dettate da alcune scelte personali. Prima iniziò a lavorare come garzone presso un imbianchino – “Sempre colori erano” ripeteva Gustavo – e poco più tardi, nel ’46, si iscrisse all’Istituto Gazzola di Piacenza dove seguì i corsi di geometria tenuti da Secondo Tizzoni, le lezioni di storia dell’arte del professore Ferdinando Arisi e trovò in Umberto Concerti non solo un maestro sensibile, capace di insegnarli i “segreti” del mestiere, ma anche una guida con cui confidarsi. Tuttavia, negli anni della sua formazione piacentina, l’ambiente culturale locale non aveva in sé molto da offrire ad un giovane talentuoso come Foppiani. Cassinari era alla volta di Milano, Ricchetti viveva un momento di rovina, impaurito dalle molteplici accuse che lo inquadravano come sostenitore dell’appena defunto partito fascista, mentre Arrigoni si era isolato dal clima locale per il proprio status di benestante. L’unica figura affine per temperamento e spirito a Foppiani fu Osvaldo Barbieri, detto Bot, che condivise con il giovane apprendista una medesima tendenza verso ricerche sperimentali anche sul piano tecnico. 

Questi furono anche gli anni dei primi riconoscimenti: vinse un viaggio-premio a Firenze, superò brillantemente gli esami del triennio e venne ricompensato con un soggiorno di una settimana a Venezia. Nel corso di questi anni fece il suo esordio sul mercato collezionistico piacentino con una serie di omaggi a Munch databili tra il 1947 e il 1948, che ne riflettono una prima e sincera vena espressionista, presto soppiantata da suggestioni toccate da un certo primitivismo vicino ai modi di un Campigli come appare nella Collegiale del ’49. Nel frattempo, comparvero anche i primi estimatori e collezionisti dei lavori realizzati da Gustavo come il dottor Guido Fara e l’avvocato Francesco Salini, con cui il giovane artista stipulò un accordo particolare: i due si sarebbero trovati al “Barino”, rinomato locale situato sotto i portici di Piazza Cavalli in direzione Largo Battisti, dove Foppiani avrebbe realizzato un disegno in cambio di una camomilla. Al di là di questi incontri, potremmo dire “performativi”, il piacentino riuscì a procurarsi un piccolo studio allestito in una soffitta di palazzo Costa in via Carducci, che servì da spunto per un articolo di Enzo Velliani comparso sul periodico piacentino “La Settimana” l’8 novembre 1948 e intitolato Il giovane re della soffitta. Luogo di straordinarie invenzioni creative, il laboratorio di via Carducci venne ben presto abbandonato dal suo “re” in seguito al fortunato incontro, che poi darà luogo ad una lunga fase di reciproca stima e collaborazione, con il triestino Luciano Spazzali, residente a Piacenza dal 1946 e attivo come vetrinista. Fu lui a mettere a disposizione il proprio studio di via XX Settembre a vantaggio del giovane artista, che vi si trasferì potendo contare anche sulla ricca biblioteca d’arte riunita dal maestro. Qui Foppiani ebbe l’occasione di poter consultare numerosi testi sulle antiche civiltà del mediterraneo, come gli etruschi, le cui testimonianze figurative servirono come spunto per nuove formule stilistiche improntate verso un ritorno alle radici dell’alfabeto pittorico, come testimoniano d’altronde i suoi interessi verso la pittura romanica spagnola e la grande miniatura delle corti medievali. 

L’unione dei due artisti, legati oltremodo da un nuovo modo di intendere, riformandola, la pittura piacentina, non passò in sordina: ben presto, infatti, si unirono al sodalizio il critico emergente Nello Bagarotti e lo scultore sarmatese Paolo Maserati, il cui intento era quello di sondare le più pure potenzialità della scultura non figurativa ricorrendo a scomposizioni spaziali di origine cubista. Il sodalizio poté, però, definirsi completo soltanto nel 1950, quando accorse nell’atelier di Spazzali anche Vilmore Schenardi, ribattezzato da Gustavo “Armodio”. Risale alle ricerche compiute da questo trio, a cui poi si aggiunse poco dopo Carlo Berté, l’intelligente etichetta di “Scuola di Piacenza” usata dal critico Gaetano Pantaleoni all’inizio degli anni Sessanta per definire le affinità tra le sperimentazioni compiute dai tre artisti. 


Tornando alla vicenda di Foppiani, gli anni Cinquanta furono fondamentali nel suo percorso pittorico non soltanto da un punto di vista personale, momento in cui il suo stile si fece più compiuto, ma anche in relazione al mercato ed alle inedite partecipazioni a prestigiose esposizioni internazionali. Determinanti furono, in questo senso, i viaggi a Roma. Proprio nella capitale venne incaricato di realizzare diverse copertine per la rivista “Esso” tra il ’51 e il ’53, come, per esempio, le Venditrici di lanterne ed il suo nome iniziò a circolare tra quelli che regolarmente esponevano presso la galleria l’Obelisco, fondata da Gaspero del Corso e dalla moglie Irene Brin. Con Gaspero fu l’inizio di un rapporto assai proficuo, contraddistinto da un forte rispetto per l’uomo e per l’artista: grazie alla sua mediazione alcuni suoi quadri vennero acquistati dalla élite romana del tempo (Riccardo Gualino, Catherine Spaak, la principessa di Bassiano, soltanto per citarne alcuni) e da ricchi imprenditori americani. Arrivati i primi successi, l’anno dell’ufficiale consacrazione di Foppiani fu il 1953, quando stipulò con l’Obelisco un contratto esclusivo che lo legò alla galleria romana fino al 1969, anno della scomparsa di Brin. Il suo nome e le sue opere iniziarono, dunque, a circolare in tutto il mondo: basti pensare alle molteplici comparse al Pittsburgh International (1955, 1958, 1964, 1967) e all’esposizione di sue opere nelle gallerie World House e Wildenstein di New York nel 1959.

Al 1954 risale la sua partecipazione ad una collettiva intitolata Joie de vivre, promossa dalla galleria di Gaspero del Corso, dove Gustavo espose la sua tempera Giochi a fianco di artisti dal calibro di Bonnard, Toulouse-Lautrec e Campigli. Nello stesso anno partecipò ad una mostra organizzata in alcune sale del piano superiore del Bar Italia di Piacenza assieme al suo “maestro” Luciano Spazzali, presentando “dieci città” che consacrarono il suo definitivo approdo verso una pittura non figurativa di grande suggestione. L’esposizione venne accolta con entusiasmo dalla critica piacentina, in particolare da Pantaleoni che ne sottolineò il successo in un articolo comparso sul quotidiano piacentino “Libertà” il 27 maggio 1954 col titolo di Spazzali e Foppiani pittori di fantasie. All’indiscussa crescente popolarità che il piacentino e le sue opere si stavano ritagliando nel bel mezzo del fervore artistico nazionale si susseguì un evento di notevole importanza, destinato a ricoprire un certo peso nella produzione di Gustavo: si fa riferimento all’apertura, sul finire del ’54, di un nuovo studio indipendente in via Corneliana, condiviso con il solo Armodio. Il sodalizio pittorico e la grande amicizia tra i due fu talmente forte che decisero di spostarsi successivamente in via Edilizia per poi fare di una soffitta della casa del geometra Gianni Spaini, situata in via Campagna 43, la sede “permanente” del loro laboratorio tra il 1962 e il 1986.

Nel 1955, oltre ai già citati riconoscimenti internazionali, Foppiani partecipò a due diverse collettive promosse dall’Obelisco in attesa di una sua prima personale, voluta con fermezza anche da Del Corso, sempre attento a seguire, quasi passo per passo, la produzione del piacentino finendo spesso per suggerirne soggetti e dimensioni dei suoi dipinti in linea con le più recenti richieste di mercato. Degna di nota è l’esposizione intitolata Giro del mondo per cui Gustavo espose la tempera intitolata Nord Africa, dove le sue ricerche archeologiche e una certa semplificazione stilistica non solamente vengono restituite in una visione “a volo d’uccello” di natura fantastica, ma riesumano certi ricordi autobiografici che tornano costanti nella produzione del nostro. Siamo ad un passo dalle sue celebri Antiche Mappe, il cui primo esemplare è riconducibile all’anno successivo, il ’56. 

Ecco, dunque, che siamo giunti al 1957, quando finalmente venne organizzata la prima personale di Foppiani, tenutasi presso la “sua” galleria dell’Obelisco e ben indagata dal catalogo curato da Giordano Falzoni, il quale si prestò a sottolineare la grande popolarità raggiunta dall’artista tra i collezionisti e l’originalità delle sue scelte stilistiche. Estremamente calzante, a proposito, è una lettera composta da Del Corso e indirizzata al pittore il 26 febbraio 1957, dove il gallerista dichiarò di aver individuato i tre principali fondamenti della sua pittura: uno infantile, uno intellettuale ed uno lirico; pertanto, le opere più riuscite furono “quelle dove le tre costanti sono così fuse che non si possono sceverare”.


È un periodo di grande successo per il piacentino che vide un grande aumento della produzione, seguito da altrettante partecipazioni in prestigiose esposizioni internazionali: nel ’59 si tenne la sua seconda personale all’Obelisco, espose poi a New York, Lima, San Francisco e Spoleto. Le parole di Del Corso ci aiutano, di nuovo, a comprendere la posizione in cui si trovava il pittore all’inizio degli anni Sessanta: in una lettera del 6 dicembre scrisse: “Dobbiamo far sbalordire il mondo, e metterlo ai tuoi piedi!”. Tuttavia, nonostante i recenti successi, Gustavo non abbandonò mai la sua Piacenza, continuando a lavorare nello studio appena inaugurato in via Campagna 43 insieme al collega Vilmore Schenardi, meglio noto come “Armodio”. Lo stesso Spazzali gli consigliò più volte di trasferirsi a Milano o a Roma, dove le occasioni si sarebbero moltiplicate, ma Gustavo rimase sempre fedele alle proprie radici, alla sua città che tanto gli aveva dato ma che ancora stentava a riconoscerne il successo. 

Un cambio di passo nella sua vicenda pittorica prese atto attorno alla metà degli anni Sessanta, in concomitanza con la mostra organizzata nel ’64, insieme a Gaetano Pompa, presso la Knoedler Gallery di New York. Qui Foppiani espose opere come Sole azzurro sui due borghi del ’63, Le linee che da Cipro vanno a Venezia, i viaggi di Ulisse e Il treno sulla collina, in cui la dimensione fantastica, quasi “meta-reale” delle mappe prese il sopravvento nella sua produzione. A queste inedite sperimentazioni si aggiunsero nuove ricerche tecniche-formali nel campo della tempera: comparvero, così, le prime superfici impreziosite dalle foglie d’oro e d’argento, oltre all’ausilio di graffe e oggetti metallici in grado di potenziare la materialità dei suoi lavori. Non è un caso che le opere del piacentino trovarono nei collezionisti americani i loro più importanti estimatori, come avvenne in occasione dell’esposizione inaugurata nel ’65 a Chicago, presso la Kovler Herman Gallery, dove il professor Kischen esaltò i lavori di Foppiani e Pompa relazionandoli con gli esperimenti compiuti da Rauschenberg e Johns. 

L’anno seguente Gustavo fece il suo esordio nel campo della scultura con il suo Libro illeggibile fatto di acciaio inossidabile e presentato in occasione di una mostra organizzata dalla galleria l’Obelisco, con cui il pittore era ancora sotto contratto. I contatti con la galleria romana durarono ancora per poco, fino al 1969, quando Gaspero Del Corso decise di interrompere tutti gli accordi precedentemente stipulati con i pittori di cui possedeva l’esclusiva. Tra i motivi che dettarono questa scelta dovette avere un certo peso la scomparsa della moglie, Irene Brin, avvenuta nel corso di quell’anno; per Gustavo non ci furono alternative, fu costretto a cercare fortuna altrove.


I primi ad accoglierlo con grande entusiasmo furono rispettivamente la galleria Gian Ferrari di Milano, dove espose tra il ’69 e il ’71 trovando in Dino Buzzati un grande estimatore della sua opera, e la galleria Forni di Bologna con cui collaborò a partire dal 1970. Qualche anno dopo, nel ’72, in occasione di una sua personale tenutasi presso la Galleria della Rocchetta a Parma, venne pubblicata una delle primissime monografie sull’artista con scritti di: Quintavalle, Arisi, Carandente, Concarotti e Solmi. Di rilievo fu la sua partecipazione, a fianco dei compagni di lavoro Armodio e Berté, alla mostra curata da Patrick Waldberg nel 1973 dal titolo “Surrealismo ora e sempre” che racchiudeva una selezione di trentotto artisti orientati verso temi fantastici. Fu l’ennesima consacrazione internazionale della già battezzata “Scuola di Piacenza”, come ebbero a dimostrare anche le esposizioni del ’72 e del ’74 alla galleria Guimot di Bruxelles, in merito alle quali il critico e giornalista Stephan Rey adoperò l’etichetta di Ecole de Plaisance per denunciare i legami sottesi tra le opere di Foppiani e di Armodio. Frutto della collaborazione con Tiziano Forni, direttore dell’omonima galleria bolognese, fu l’inaugurazione della personale 65 Mitologie nel 1977 a Bologna e poi replicata, nell’ottobre dello stesso anno nella sede olandese di Amsterdam, a cura di Miricae Merlo, grande amica del pittore. 

Il rilancio europeo dell’opera di Foppiani cadde in un momento preciso, a novembre del 1979, in corrispondenza con l’apertura della galleria di Philippe Guimiot a Bruxelles, con cui il piacentino era già in favorevoli rapporti da tempo e che inaugurò la propria sede con una personale dedicata a Gustavo e intitolata G. Foppiani, fondateur de l’Ecole de Plaisance. Il rapporto con Guimiot provocò un brusco cambiamento di rotta, come d’altronde sembrava aver già profetizzato l’artista con il suo Changement de direction del 1975, esposto in occasione di un’altra importante mostra presso l’appena costituita galleria L’Oeuf du Beau Bourg di Parigi svoltasi nell’aprile del 1977. Grazie al suo nuovo protettore, i dipinti di Foppiani si riappropriarono di quello scenario internazionale che nel corso degli anni Settanta non venne mai raggiunto: espose nel 1981 e ’82 a Basilea, nel 1983 a Parigi, nel 1984 a Madrid, nel 1985 a Londra e a Gand all’interno del progetto “Linea ’85”. 


Protagonisti di questa ultima fase di attività dell’artista, a fianco delle riconosciute tempere con città, mappe, angeli e demoni, furono gli acquerelli, attraverso cui il linguaggio del piacentino poté sondare inedite fantasie espressive eseguite con grande sprezzatura e accompagnate da una non comune libertà narrativa. Riconosciutissimi, furono un successo ogni qual volta che il pittore li presentasse in occasione a mostre a cui partecipava in Italia e nel mondo. La sua vena immaginativa e le sue ricerche tematiche trovano negli acquerelli l’esito ultimo di un percorso che fu sempre coerente ma, al contempo, in costante evoluzione. Dopo diversi mesi di sofferenze, senza mai abbandonare i “voli” delle sue creazioni, la grave malattia che lo colpì ebbe la meglio: Gustavo Foppiani si spense il pomeriggio del 5 agosto 1986. 

In chiusura lo vogliamo ricordare con queste sue parole che ci riconsegnano, in sintesi, la sua avventura: “A me bastano un nome e un secolo, il mio nome e il mio secolo”. 






PRINCIPALI MOSTRE 


1955 Pittsburgh, International Carnegie Institute - Roma, Quadriennale d’Arte.


1957 Roma, galleria l’Obelisco.


1958 Pittsburgh, International Carnegie Institute.


1959 Roma, Galleria l’Obelisco - Roma, Quadriennale d’Arte - New York, galleria World House - New York, galleria Wildenstein.


1961 Spoleto, Teatro Cajo Melisso - Roma, galleria l’Obelisco.


1962 Napoli, galleria Chiurazzi.


1964 Roma, galleria l’Obelisco - Pittsburgh, International Carnegie Institute - New York, galleria Knoedler.


1965 Roma, galleria l’Obelisco - Chicago, galleria Hemon Kouler - Parigi, galleria Paul Facchetti.


1967 Pittsburgh, International Carnegie Institute.


1968 Roma, Teatro Olimpico – Stoccolma, Istituto di Cultura Italiano F.C. Clerici.


1969 Milano, galleria Gian Ferrari – Malmoe, Istituto di Cultura Italiano.


1970 Mantova, galleria Mantegna – La Spezia, galleria Il Gabbiano – Padova, galleria Antenore – Milano, galleria Gian Ferrari – Bologna, galleria Forni – Desenzano del Garda, galleria Antiquario del Garda.


1971 Alessandria, galleria D/4 – Perugia, galleria Etruria – Torino, galleria Davico – Piacenza, galleria Il Gotico – Bologna, galleria Forni – Milano, galleria Gian Ferrari – Savona, galleria La Fontana.


1972 Parma, galleria della Rocchetta – Busto Arsizio, galleria La Bambaia – Napoli, galleria Diagramma 32.


1973 Biella, galleria Il Tritone – Genova, galleria Il Salotto – Reggio Emilia, galleria La Scaletta – Perugia, galleria d’Arte Moderna.


1974 Torino, galleria La Cittadella.


1975 Cremona, galleria Le Mura 2 – Napoli, galleria Il Diagramma 32 – Roma, galleria La Nuova Pesa – Trieste, galleria Forum – Torino, galleria La Quercia.


1976 Ancona, galleria Il Falconiere – Torino, galleria La Cittadella.


1977 Parigi, galleria l’Oeuf de Beaubourg – Bologna, galleria Forni – Parigi, galleria Bellint – Torino, galleria Davico – Amsterdam, galleria Forni.


1978 Amsterdam, galleria Harmen.


1979 Bologna, galleria Forni – Bruxelles, galleria Philippe Guimot – Piacenza, galleria Il Gotico.


1981 Basilea, Art 12 ’81 (galleria Philippe Guimot).


1982 Bruxelles, galleria Philippe Guimot.


1983 Milano, studio Steffanoni – Magenta, studio Steffanoni.


1984 Genova, galleria Il Nuovo Fanale – Bologna, galleria Forni.


1985 Bruxelles, galleria Philippe Guimot – Roma, galleria Il Narciso – Brescia, galleria Schreiber – Brindisi, galleria Il Tempietto.


1986 Milano, studio Steffanoni – Bologna, galleria Forni – Mesola, Castello Estense.


1987 Mesola, Galleria Estense.


1988 Ferrara, galleria Civica d’Arte Moderna – Ischia, Castello Aragonese - Piacenza, studio Denise Fiorani – Milano, galleria Spazio Immagine.


1989 Bologna, galleria Forni – Milano, galleria Spazio Immagine – Piacenza, galleria Braga.


1991 Brindisi, galleria Il Tempietto.


1992 Milano, galleria Gian Ferrari – Piacenza, galleria Braga – Saronno, galleria Il Chiostro.


1993 Piacenza, galleria Braga.


1994 Cremona, galleria Il Triangolo.


1995 Piacenza, galleria Braga.


1996 Piacenza, galleria Braga


1998 Arzignano, galleria d’Arte Ciman.


2002 Piacenza, Palazzo Gotico  –  Milano, galleria Spazio Immagine.


2003 Piacenza, Palazzo della Provincia.


2006 Piacenza, Galleria Ricci Oddi – Piacenza, Spazio Rosso Tiziano.


2007 Torino, galleria Davico.


2022 Piacenza, galleria Biffi Arte.




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